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TRE FRATELLI Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 settembre 1981
 
di Francesco Rosi, con Charles Vanel, Michele Placido, Philippe Noiret, Vittorio Mezzogiorno, Andréa Ferreol (Italia, 1981)
 
Che il cinema di Francesco Rosi stia progressivamente mutando è fuori di dubbio. Quando l'attualità, il momento storico evolve con la drammatica dinamica dell'Italia dei nostri giorni è impossibile affrontare i problemi di petto. Occorre distaccarsi, meditare, analizzare. Era il regista stesso che, all'uscita del suo precedente CRISTO SI E' FERMATO A EBOLI ce lo confessava senza esitazione a Cannes.

E, in effetti, anche una visione affrettata di TRE FRATELLI conferma questo fatto: il ritmo dei film di Rosi da incalzante si è fatto contemplativo, la rabbia della polemica si è placata, il mordente giornalistico dei tempi di IL CASO MATTEI e LUCKY LUCIANO ha lasciato il posto ad una riflessione sensibile e prudente.

Rosi ha sempre fatto della cronaca, ha filmato le cause, mai gli effetti. Il suo cinema più celebre è nato rifiutando l'idea del racconto, del romanzo. Cercando, al contrario, di distruggere la continuità (di tempo, di luogo, d'azione) della struttura romanzata per arrivare piuttosto ad un'analisi della meccanica di questa struttura. E da questa analisi giungere infine ai motivi, alla logica che conduce al potere ed alla violenza. Il suo ultimo cinema, quello nel quale la contemplazione ed il lirismo sembrano sostituirsi alla cronaca, si urta non senza conseguenze a quel cinema.

Ispirato ad un racconto di Platonov TRE FRATELLI descrive il ritorno al Sud ed alla famiglia di un giudice, un assistente sociale ed un operaio, in occasione della morte della loro madre. TRE FRATELLI, in breve, è CRISTO SI E' FERMATO A EBOLI più CADAVERI ECCELLENTI: la condizione del Sud, il ritorno alla terra e alla famiglia, più l'Italia contemporanea. Questo ritorno alle proprie origini, alla propria identità è l'elemento scatenante che, nel film di Rosi, dovrebbe rivelare tre personaggi emblematici della realtà italiana di oggi. L'operazione riesce solo in parte, e per molte ragioni. Ma quella fondamentale è probabilmente che il "nuovo" Rosi, confermando ovviamente la sua grande sensibilità di scrittore in immagini, guadagna, o non perde, in sensibilità: ma perde in lucidità. Quando il regista osserva il personaggio che Vanel interpreta più che con impareggiabile bravura, con estrema semplicità e istintiva facilità, inserisce questa sua visione in un sentimento che in questi anni gli è evidentemente congeniale. Quando il vecchio contadino si serve il pasto frugale, quando taglia il formaggio, quando accosta le due vere matrimoniali nell'inquadratura finale, c'è tutta la partecipazione accorata, l'amarezza e la commozione di Rosi. Un'emozione che nobilita, intendiamoci, il film. Ma che, quasi per contrasto, fa risaltare lo schematismo, la convenzionalità degli altri personaggi, quelli che sono immersi nel contemporaneo.

Il film passa cosi continuamente dal realismo (l'inizio nel riformatorio, gli incontri con gli abitanti del villaggio natale) al fantastico (le apparizioni della moglie defunta, i frammenti del passato che rivivono, i sogni): con i relativi cambiamenti espressivi che questo comporta (la fotografia che sfuma, o la recitazione che si fa irreale).

Sul piano dell'atmosfera questo può forse portare a dei risultati; ma su quello dell'analisi sociale e politica è molto più difficile. Così il Vanel delle vere che ci ricordano il valore di una vita umana, anche la più semplice, in un mondo che sempre più frequentemente sembra esserselo scordato, ne esce valorizzato. Quando ci mostra l'uovo che gli porta la nipotina, sottintendendo che è in quella semplicità(difficile, certo, ma perché no, raggiungibile) che sta la soluzione di certe cose, allora il lirismo di Rosi si trasforma in un idealismo un po' semplicistico ed ingenuo.

TRE FRATELLI è un film amaro, commosso e smarrito. E quando ci trasmette questi sentimenti lo sentiamo sincero e toccante. Ma quando vuole toccare di sbieco i problemi più grandi, il terrorismo col quale ha a che fare il giudice, i movimenti operai o quelli dell'educazione che concernono gli altri due fratelli, allora i limiti del film appaiono subito evidenti e allarmanti. Gli stessi scompensi è facile riconoscerli nella fattura (che è poi quella che detta i risultati ideologici) del film. Accanto alla mano sempre grande nell'inserire i personaggi in un ambiente (il cortile ed il Sud in genere, che con la loro pulizia dimensionale suggeriscono la schiettezza di una dimensione morale, la concisione dello sfondo cittadino, nella bella sequenza del ritorno di Placido dalla moglie nell'appartamento, eccetera) o a quell'attenzione per il gesto dell'uomo alla quale abbiamo già accennato ci sono poi delle sequenze "pensate" a fatica. Come quella, laboriosa, del risveglio dei tre fratelli, che piangono nei vari angoli del cortile. Senza parlare di certe scene oniriche che veramente non appartengono non solo al film, ma nemmeno ai toni dell'autore. In modo più generico TRE FRATELLI rispecchia inoltre un certo smarrimento che è di tutti, o quasi i grandi nomi del cinema italiano di ieri. Dagli eredi del neorealismo ai maestri della commedia brillante si direbbe che tutti, nei confronti di una indubbia crisi economica pensino soprattutto a non sbagliare. A non osare troppo, quindi; a non esagerare con le proprie ambizioni, a eseguire dei buoni prodotti comprensibili a tutti. Ed ai produttori in primo luogo. Se c'è un segreto per evitare i capolavori, questo del fermarsi a mezza strada è sicuramente il più sicuro. In questo senso, più che mai, i soldi dettano le idee. Ma è un discorso, questo, che ci porta lontano.


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